La specializzazione in psicoterapia che ho conseguito è ad orientamento Cognitivo-Comportamentale, nello specifico, centrata sulle terapie definite di Terza Generazione.
All’interno di questo gruppo, si possono individuarne varie, tra cui: ACT (Acceptance and Commitment Therapy – Terapia dell’Accettazione e dell’Impegno; Hayes, 1999), DBT (Dialectical Behaviour Therapy – Terapia Dialettico Comportamentale; Linehan, 1993), FAP (Functional Analytic Psychotherapy – Terapia Analitico Funzionale; Kohlenberg & Tsai, 1991), MBCT (Mindfulness-Based Cognitive Therapy – Terapia Cognitiva Basata sulla Mindfulness; Segal, Williams, & Teasdale, 2001).
Le terapie di terza generazione sono accomunate da una principale teoria di riferimento, la RFT (Relational Frame Theory – Teoria della Cornice Relazionale; Hayes, Barnes-Holmes, Roche, 2001 ) e si caratterizzano per essere la naturale evoluzione della terapia che sino ad oggi ha accumulato una maggiore evidenza di efficacia, la terapia del comportamento. Viene mantenuto il legame con la psicologia come scienza di base, l’attenzione alla verifica sperimentale, ai progressi e al cambiamento del singolo paziente.
Il focus del trattamento si estende oltre alla soluzione di problemi specifici, fino a comprendere i disturbi della personalità e problematiche di tipo esistenziale. Questi trattamenti mirano alla costruzione di abilità, risorse e di repertori comportamentali ampi, flessibili ed efficaci per il cliente-utente, non solo all’eliminazione dei problemi e sintomi.
L’ACT è la terapia che contraddistingue principalmente il mio approccio, ma che allo stesso tempo contamino con altri strumenti e percorsi terapeutici derivanti sia dalle terapie sopracitate, che da altre come la CFT (Compassion Focused Theapy – Terapia Focalizzata sulla Compassione; Gilbert, 2000). Il risultato è sempre un percorso psicoterapeutico che ha alla base evidenze scientifiche, ma allo stesso tempo costruito e funzionale sulla persona che incontro.
All’interno di questo spazio si possono affrontare disagi e criticità derivanti da:
- Disturbi d’Ansia (fobie, ansia generalizzata, attacchi di panico,…)
- Disturbi dell’Umore (sintomi depressivi, lutto, eventi traumatici…)
- Difficoltà relazionali-comunicative (problemi di coppia, genitoriali, lavorativi,…)
- Difficoltà motivazionali-comportamentali
- Difficoltà emotive-affettive
La psicoterapia può rivolgersi al singolo, alla coppia o alla famiglia, sulla base dell’esigenze e della funzionalità per le difficoltà e problematiche presentate.
Approfondimento I: ACT – ACCEPTANCE AND COMMITMENT THERAPY
L’ACT descrive l’inflessibilità psicologica come la tendenza del soggetto a mostrare un repertorio comportamentale che non va in direzione di ciò che è importante per il soggetto, ma verso un evitare pensieri, emozioni e sensazioni fisiche che sono reputate negative, dolorose e intollerabili. Il soggetto si impegna quindi a contrastare ed allontanare questo mondo cognitivo ed emotivo interno arrivando a perdere il contatto, non solo con ciò che è importante e di valore per lui, ma anche con il momento presente, trovandosi a vivere maggiormente in tempi che non gli appartengono, quali il passato e il futuro. L’inflessibilità psicologica risulta quindi essere il prodotto di sei processi interrelati tra loro: Fusione, Evitamento esperienziale, Dominanza di un passato e futuro concettualizzato, Attaccamento al sé concettualizzato, Mancanza di chiarezza e contatto con i propri valori e Inattività-impulsività-evitamento persistente.
Parallelamente, il fine ultimo della terapia comportamentale di terza generazione risulta essere la promozione di quella flessibilità psicologica che porti a identificare, costruire e mantenere nuovi repertori comportamentali funzionali e adattivi, oltre che a sviluppare e rafforzare quelli già presenti.
La flessibilità psicologica viene quindi descritta dall’ACT come la capacità di mantenersi in contatto con il momento presente, accettando pensieri, emozioni e sensazioni fisiche; ed orientando il repertorio comportamentale in direzione dei propri valori. La flessibilità psicologica risulta essere, anche in questo caso, il prodotto di sei processi opposti a quelli presentati prima e sui quali si articolerà il trattamento: Defusione, Accettazione, Contatto con il momento presente, Sé Contesto, Valori e Azione impegnata.
Approfondimento II: RFT – RELATIONAL FRAME THEORY
La RFT nasce da una revisione dei principi teorici dell’analisi del comportamento nati con B.F. Skinner (1938; 1945; 1953; 1957). Questo lungo lavoro di studio, revisione e ridefinizione di alcuni principi della “prima generazione” ha portato ad oltrepassare l’etichetta di “comportamentismo radicale”, data a quest’ultima, giungendo a quella di “contestualismo funzionale”: il comportamento (“pubblico” e “privato”) visto in termini funzionali all’interno di specifici aspetti storico-contestuali,
La RFT è una teoria del linguaggio e della cognizione che possiamo sinteticamente presentare in questo modo: “la RFT descrive un processo attraverso il quale gli esseri umani imparano a collegare arbitrariamente gli stimoli tra loro, in molteplici modi all’interno di svariati contesti. Questo comportamento relazionale – tecnicamente conosciuto come framing relazionale arbitrariamente applicabile – inizialmente è rinforzato mediante rinforzi condizionati, ampiamente disponibili e generati socialmente, ma alla fine diventa auto-rinforzante” (Woods D.W. e Kanter J.W., 2016). I repertori relazionali che si sviluppano diventano quindi dipendenti dal contesto che presenta classi di stimoli funzionali e tra questi ci sono stimoli arbitrari che vanno a costituire il linguaggio e la cognizione umana. Si comprende bene che, attraverso questa concezione si va a colmare una delle lacune della teoria skinneriana riguardo il linguaggio, ovvero, si arriva a sostenere che quest’ultimo può svilupparsi anche in assenza di un rinforzamento diretto ad ogni uso del linguaggio. Allo stesso tempo, il linguaggio, attraverso il principio della trasformazione delle funzioni stimolo, può elicitare ed evocare (in sostanza, avere un controllo) sul comportamento umano, riducendo quindi la sensibilità di quest’ultimo alle sue conseguenze immediate.
Integrando quindi i contributi teorici di prima e terza generazione, “la psicopatologia appare come un problema di ristrettezza, rigidità, o squilibrio dei repertori comportamentali” (Woods D.W. e Kanter J.W., 2016). Seguendo la RFT, tutto ciò deriva da regole verbali rigide derivate da frame relazionali, sviluppatisi nel tempo e in relazione ad eventi-esperienze contestualizzate, che conducono ad eccessi di comportamenti disfunzionali ed evitanti e/o a deficit di comportamenti funzionali ed adattivi. Si deduce che, il cuore della psicopatologia non è la presenza di particolari emozioni e cognizioni, bensì l’inflessibilità psicologica attraverso la quale ci si rapporta e si risponde (a livello comportamentale) ad emozioni e cognizioni. Infatti, a differenza delle terapie cognitive di seconda generazione, ci “si concentra maggiormente sull’impatto regolatore della funzione comportamentale della cognizione in un dato contesto, senza tentare di impedire il suo verificarsi e di alterare la sua forma” (Woods D.W. e Kanter J.W., 2016).